La poesia di Vittorio Sereni è stata inizialmente inserita sia nel modernismo minore (anche per l’influenza di poeti quali Ungaretti e Quasimodo), sia nell’ermetismo fiorentino, mostrando oggetti, situazioni e sentimenti diversamente concreti.
Diana
Torna il tuo cielo d’un tempo
sulle altane lombarde,
in nuvole d’afa s’addensa
e nei tuoi occhi esula ogni azzurro,
si raccoglie e riposa.
Anche l’ora verrà della frescura
col vento che si leva sulle darsene
dei Navigli e il cielo
che per le rive s’allontana.
Torni anche tu, Diana,
tra i tavoli schierati all’aperto
e la gente intenta alle bevande
sotto la luna distante?
Ronza un’orchestra in sordina;
all’aria che qui ne sobbalza
ravviso il tuo ondulato passare,
s’addolce nella sera il fiero nome
se qualcuno lo mormora
sulla tua traccia.
Presto vien giugno
e l’arido fiore del sonno
cresciuto ai più tristi sobborghi
e il canto che avevi, amica, sulla sera
torna a dolere qui dentro,
alita sulla memoria
a rimproverarti la morte.
Vittorio Sereni
E chiederemo ai cuori nostri un segno di pace, finalmente,
resteremo soli in fronte al buio
come si fece un tempo, lontano...
Al senso di inadeguatezza e di smarrimento (che lo accomunano a Montale) sia psicologici che ideologici, Sereni
contrappone pochi momenti di gioia, dei veri e propri “scatti” che
hanno il volto dell’amore e dell’amicizia, che compensano in parte la
sua delusione ( soprattutto per il fallimento degli ideali socialisti
e democratici in Italia) e il suo sentirsi prigioniero della storia.
Il poeta incerto non riesce a non sentirsi estraneo nel mondo tanto che
affermerà: <<Non lo amo il mio tempo, non lo amo>> (dalla rete).